Terremoto: ecco come la politica ha preparato il disastro

E’ stata un’ordinanza firmata il 30 gennaio 1998 dall’allora ministro dell’Interno Giorgio Napolitano — ricorda il Fatto Quotidiano — a stabilire che gli edifici pubblici e luoghi di culto danneggiati dal sisma del 1997, tra cui la chiesa e la caserma dei carabinieri di Accumoli, andavano solo “ripristinati” con interventi di recupero e “miglioramento sismico”. Interventi che, in base alle Norme tecniche per le costruzioni – testo unico che detta le regole per progetti, esecuzioni e collaudi – garantiscono solo un generico “aumento della sicurezza strutturale, senza necessariamente raggiungere i livelli richiesti dalle presenti norme“. Mentre la Procura di Rieti, dopo i crolli causati dal terremoto del 24 agosto, avvia indagini su quelle ristrutturazioni, dai documenti dell’epoca emerge dunque — continua il giornale — che i commissari e il Comitato tecnico-scientifico, chiamati a scrivere il piano di interventi finanziato dallo Stato con oltre 70 milioni di euro (per la sola provincia di Rieti), si sono limitati a mettere in pratica una decisione politica. E’ stata la politica a preparare il disastro, fissando paletti così laschi che ora appare difficile contestare qualcosa a enti attuatori, imprese che hanno eseguito i lavori – a meno che non li abbiano fatti male o con materiali scadenti – e collaudatori. Il deputato Pd Fabio Melilli, ex presidente della Provincia di Rieti e dal 2006 al 2010 commissario delegato per il “superamento della situazione di criticità” dopo il terremoto dell’Umbria del settembre e ottobre 1997, ha detto al Corriere della Sera che il crollo della chiesa di Sant’Angelo in una frazione di Amatrice, quello del campanile del complesso parrocchiale di San Pietro e Lorenzo di Accumoli e i danni alla caserma del paese (dichiarata inagibile) non bastano perché si possa parlare di opere malfatte: “Le procedure sono state rispettate”. Infatti “si è dato per scontato che tutti gli edifici pubblici fossero adeguati ai criteri antisismici“, ma in realtà “nessuno” lo è stato, perché “quelli che fece la Provincia furono lavori di riparazione“, di “ripristino”. Esattamente come previsto dal provvedimento del Viminale, retto all’epoca da Napolitano, che non ha imposto un più radicale (e costoso) adeguamento sismico, dopo il quale il fabbricato deve invece garantire un livello di sicurezza pari a quello degli edifici di nuova costruzione. Il problema è che “miglioramento sismico” non vuol dire quasi nulla. “E’ una definizione molto generica e molto ampia”, spiega a ilfattoquotidiano.it Armando Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri. “Di fatto qualunque intervento il progettista dichiari essere di miglioramento viene accettato come tale. Può trattarsi della sostituzione di una piattabanda (la parte superiore di porte o finestre, ndr) di legno con una in ferro, dell’inserimento di tiranti in acciaio che bloccano i due lati del tetto o di catene. Interventi che in alcuni casi, intendiamoci, migliorano di molto la sicurezza. Ma non è detto”. E il collaudo non lo verifica? “No: attesta soltanto che l’opera è conforme al progetto, ma non è richiesto che verifichi i risultati ottenuti dal punto di vista sismico”. Di conseguenza, “se i finanziamenti sono stati dati solo per interventi di miglioramento, è evidente che non c’era alcuna garanzia che quegli edifici potessero resistere a un terremoto dell’intensità di quello del 24 agosto”. Al contrario — conclude il giornale — l’adeguamento avrebbe “imposto al progettista di dimostrare con verifiche e calcoli ad hoc di aver reso la costruzione sicura quanto una realizzata ex novo. In più per ospedali o caserme dei vigili del fuoco, per esempio, le Norme tecniche richiedono che in caso di sisma non solo sia garantita la sicurezza delle persone all’interno ma anche l’indispensabile mantenimento della funzionalità.

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